Quelli che stiamo vivendo sono giorni difficili. L’Italia e gli Italiani nel giro di qualche settimana hanno progressivamente dovuto convivere con uno stato di emergenza culminato con la prima vera grande limitazione della libertà individuale e collettiva dal tempo della Seconda guerra mondiale.
Una limitazione cosi è nuova, non l’ha conosciuta mia madre, non la conoscevo io, non la conoscevano fino a qualche giorno fa i miei figli.
Tutto per contrastare e combattere un nemico apparentemente invisibile, che ha un nome strano COVID-19, ma non un volto così come eravamo abituati secondo l’archetipo dei buoni e dei cattivi.
Il linguaggio che tutti gli strumenti di comunicazione hanno adottato è in sostanza un linguaggio da stato di guerra, e l’impressione che si ha è proprio quella.
Io non sono un medico, non sono uno scienziato né un infettologo, quindi non credo sia mio compito parlare del COVID-19, ma allo stesso tempo, visto che lavoro con le parole dette, pensate e scritte, credo sia per me doveroso una riflessione.
L’importanza della parola
In questo momento di difficoltà dovrebbe essere evidente a tutti quanto le parole o meglio la parola sia importante. Noi ci costruiamo con le parole, viviamo costantemente dentro una narrazione fatta di parole e di immagini. Una parola può edificare, può distruggere, può salvare. Spesso ascoltiamo le parole degli altri, questo può essere un momento importante per riscoprire le nostre parole, quelle che dovremmo dirci.
Ricordando che parola può aprire un mondo, disegnare possibilità. Ecco perché ora più che mai è il momento giusto per riscoprire il valore della parola.
Un condizionamento così importante impone un confronto, per certi versi forzato, ma comunque un confronto a cui non possiamo sottrarci. Un confronto con se stessi e con il mondo, quel mondo che ognuno di noi ogni giorno contribuisce a creare.
Ora quel mondo è fermo. Ecco la grande novità.
Ecco l’incognita che non ci aspettavamo.
Ora abbiamo la possibilità unica di guardare tutti nello stesso momento e nella stessa direzione, e tutti, possiamo vedere la giostra ferma, il circo e i suoi artisti immobili. Abbiamo la possibilità di analizzare ogni cosa, di ripensarla in relazione alle priorità, le nostre.
Dal canto mio credo che sia un atto di grande responsabilità e coscienza civile quello che tutti stiamo compiendo: limitare la libertà individuale a favore di un bene collettivo superiore: quello di permettere al nostro sistema sanitario di curare il maggior numero di persone.
Una grande opportunità collettiva
Allo stesso tempo credo che questo condizionamento possa offrirci una grande opportunità collettiva.
Possiamo farci tutti e nello stesso tempo delle domande e non avere la scusa per dire: ora non ho tempo di pensare. Il tempo lo abbiamo. Possiamo guardare i nostri figli giocare, possiamo ascoltarli. Dobbiamo in qualche modo trovare le parole adatte per spiegare loro questo momento, per rasserenarli, per dirgli cosa sta accadendo. Per farlo abbiamo bisogno di parole, le dobbiamo cercare e questa per molti sarà già un’azione nuova.
Ecco cosa dovremmo fare: utilizzare questo momento unico e particolare in cui tutto è fermo per imporci un ripensamento, immaginarci alla luce di nuove priorità che, non necessariamente debbano penalizzare l’aspetto produttivo ed economico di ciascuno di noi o dei nostri paesi. Anzi credo che questa apparente fragilità nasconda una grande forza persuasiva, siamo un corpo connesso, siamo fragili e forti allo stesso tempo, siamo il nostro miglior amico e il nostro peggior nemico, siamo i custodi di un giardino meraviglioso o i suoi peggiori devastatori e, non è il denaro che determina ciò che siamo nè quello che saremo.
Credo che sia evidente quanto si inutile d’ora in poi andare alla ricerca di Golia. Oggi siamo tutti, volenti o nolenti, coscienti o meno, entrati nell’era in cui ognuno di noi è chiamato a cercare il Davide che ha dentro di se.