Lo storico israeliano Saul Friedländer afferma che “Il regime nazista raggiunse una sorta di limite teorico esterno nella storia del crimine. Quando un regime decide che dei gruppi non hanno più il diritto di vivere, fissando i luoghi e i tempi del loro sterminio, allora si tocca il limite estremo”.
Dello stesso pensiero è il tedesco Eberhard Jäckel: “L’assassinio nazista degli Ebrei rimane incomparabile perché mai in precedenza uno Stato ha deciso lo sterminio totale di un certo gruppo di persone”.

Primo Levi scrive: “Forse, quanto è avvenuto non si può comprendere, anzi non si deve comprendere, perché comprendere è quasi giustificare”

È difficile procedere ad una comparazione totale tra i regimi concetrazionari sovietico e nazista poiché l’apertura degli archivi post-sovietici è ancora parziale.

Di seguito un elenco su alcuni aspetti di una possibile comparazione:
1) la struttura e l’ubicazione del campo
2) l’arresto e il trasporto
3) la vita nel campo

4) i metodi di eliminazione
5) la mortalità
6) la memoria dei sopravvissuti e le difficoltà nel raccontare

È sorprendente notare come la quotidianità della vita nel campo fosse estremamente simile tra lager e gulag. A livello generale, l’organizzazione della giornata era praticamente identica: sveglia, appello, lavoro, pausa mezzogiorno, lavoro, appello serale, riposo.

I lager e i gulag erano universi di morte. Però nei gulag la morte non era programmata, ma conseguenza di un lento processo di logoramento attraverso il lavoro. Ben diversa era la situazione nei lager dove la funzione principale era lo sterminio dei popoli inferiori.

Una peculiarità da sottolineare è che il lager non era strettamente indispensabile per la sopravvivenza del regime nazista; il gulag invece fu una struttura necessaria per la conservazione del potere di una rivoluzione minoritaria. I gulag erano infatti indirizzati, a differenza dei lager nazisti, ad un’opera di repressione interna delle proprie popolazioni e di rieducazione dei soggetti controrivoluzionari.

Perché il termine “gulag” è sconosciuto ai più? Perché nomi come Solovki, Vorkuta e Kolyma per lungo tempo non hanno detto nulla alla maggioranza dell’umanità? Perché le immagini del bolscevismo non hanno fatto il giro del mondo?

I motivi sono molteplici: da un parte, nonostante i gulag avessero funzionato dagli anni ’20 agli anni ’80, la reale estensione e la vera natura di questa operazione rimasero un segreto ben custodito perfino nella stessa Unione Sovietica e se gli Alleati, con la sconfitta di Hitler, poterono liberare i campi di concentramento, scattare foto e fare filmati per testimoniare l’orrore, nulla di tutto ciò esiste purtroppo nel caso sovietico.

A conclusione vorrei citare le parole di Primo Levi per testimoniare l’orrore che nazionalsocialismo e bolscevismo ci hanno lasciato e semplicemente per dire che in questo caso un’immagine vale più di mille parole: “In molte occasioni, noi reduci dai campi di concentramento ci siamo accorti di quanto poco servano le parole per descrivere la nostra esperienza. Funzionano male per cattiva ricezione, perché viviamo ormai nella civiltà dell’immagine, registrata, moltiplicata, teletrasmessa. Ma funzionano male anche per cattiva trasmissione. In tutti i nostri racconti sono frequenti espressioni quali “indescrivibile”, “inesprimibile”, “le parole non bastano a…”, “ ci vorrebbe un nuovo linguaggio per…”, ecc.

Il linguaggio di tutti i giorni è adatto a descrivere le cose di tutti i giorni, ma qui è un altro mondo, qui ci vorrebbe un linguaggio “dell’altro mondo”, un linguaggio nato qui”.

breve estratto dalla tesi di laurea di Molino Claudio dal titolo “Concentrazione e sterminio nei regimi totalitari: Auschwitz e Kolyma”