Ci sono giorni in cui bisogna fermare il tempo, momenti in cui ognuno deve o dovrebbe assumersi un dovere preciso, irrimandabile. Quel giorno è il 27 gennaio, il dovere è quello di ricordare o far ricordare.

Il 27 gennaio del 1945 i soldati dell’Armata Rossa scoprivano, nella loro marcia verso Berlino, l’esistenza del lager in Alta Slesia. Al loro arrivo trovarono pochi prigionieri, fra questi Primo Levi. I tedeschi in fuga avevano cercato di cancellare ogni traccia dell’esistenza di quell’inferno di Auschwitz.

Sono passati sessantasei anni, da quel giorno sono successe tante cose e il mondo ha fatto passi lunghi e veloci. Si dice che la memoria familiare, quando va bene, non dura più di tre generazioni, ciò significa che i testimoni diretti stanno per scomparire tutti, i loro figli sono sostanzialmente invecchiati, ad Auschwitz andranno in visita i nipoti.

Ecco perché è importante fermare il tempo, ecco perché è, secondo me, un dovere di ciascuno mantenere viva la fiamma del ricordo, squarciare l’oblio a cui sono stati condannati milioni di uomini, donne e bambini, trattenere il ricordo, mantenendo vivo lo sdegno.

È l’unica cosa che possiamo fare, non ci viene chiesto di capire, sarebbe impossibile. Possiamo leggere, possiamo guardare documentari, possiamo rabbrividire, ma secondo me fra noi e loro c’è una distanza incolmabile, un vuoto incolmabile e incomprensibile.

Mio nonno ha 96 anni, ha fatto la Seconda Guerra Mondiale e cinque anni di prigionia in Germania. Nonostante siano passati tanti anni, nonostante a volte mi chiede che giorno è oggi, quando parla della sua prigionia ricorda tutto con una lucidità sorprendente. Gesti, nomi, azioni e poi silenzio e tante lacrime; fin da quando ero piccolo lo svolgimento del suo racconto era questo. Ora capisco. Nonostante abbia trovato la forza per sopravvivere alla fame, al freddo, alla sofferenza e ad altri prigionieri che morivano, nonostante abbia trovato la forza di raccontare, ogni volta torna lì dentro, tra vittime e carnefici da solo, allora le lacrime lo vincono come lo vincevano allora.

Il giorno della memoria è questa volontà che ognuno di noi deve coltivare dentro di sé come una virtù, è il nostro dovere nei confronti di tutte le vittime, è la nostra presa di posizione nei confronti della vita. Penso che chi non ricorda, chi non onora questa stanza dentro di sé, non fa un torto agli ebrei, ai bambini, ai malati di mente, agli zingari, agli omosessuali, ai disabili, ai gemelli, no, lo fa a se stesso.

Domenico Capponi