Archiviate ormai da un po’ le vacanze natalizie, riprendiamo le fila del progetto di cui già vi abbiamo parlato: la cultura secondo gli “addetti ai lavori”.
Si apre con oggi una serie di interviste a personaggi locali che hanno fatto dell’arte e della cultura il loro mestiere.
Iniziamo con il teatro e, nella fattispecie, con Edoardo Ripani, che ringraziamo per la disponibilità. Edoardo è un attore sambenedettese, classe ’82, che, nonostante la sua giovane età, vanta un curriculum di tutto rispetto. L’abbiamo incontrato in un caffè di San Benedetto dove ci ha regalato un’approfondita analisi della “condizione teatro” in Italia, ovviamente secondo il suo punto di vista.
La cultura italiana non sembra stia vivendo un periodo troppo roseo e i segnali sono visibili ovunque. Cosa puoi dirmi a riguardo?
Non penso che la cultura in Italia stia attraversando un brutto periodo; elevato è il numero di artisti e intellettuali, il problema è che sono scollegati, emarginati, operano da dietro la lavagna. Nel teatro, per esempio, esistono tante compagnie, ma la mentalità italiana non permette di considerare il “fare teatro” come un mestiere: il teatro è una forma di artigianato più che una forma d’arte. Gli italiani devono smettere di pensare che esso sia indirizzato alla sola élite. Il teatro, più di altre, è una forma legata alla civiltà e alla politica, basti pensare agli anni ’70, periodo florido per il mondo teatrale e ai successivi anni ’80 in cui un ribaltamento in campo politico ha portato a un processo di deculturalizzazione e di perpetuazione dell’idea che l’arte e la cultura sono materie di nicchia.
Che peso ha, se ne ha, secondo te, il teatro nell’ambito dell’economia italiana?
Avrebbe un peso reale se ci fossero maggiori investimenti, se la politica culturale si adoperasse affinché il teatro abbia un peso determinante per l’economia del paese. Nelle Marche sono presenti circa ottanta teatri attivi che denotano un peso importante. Diceva Flaiano: “L’arte è un investimento di capitali, la cultura un alibi”. Lorca affermava: “Un popolo senza teatro è un popolo morto”.
Perché hai scelto proprio il teatro, a ragion veduta, non sarebbe stato meglio prendere un’altra strada, magari una più redditizia?
Non sono io che ho scelto il teatro, è il teatro che ha scelto me; non ho avuto alternativa.
Quale futuro vedi per il teatri in Italia?
Non vedo nessun futuro; il 2011 porterà all’azzeramento del teatro in Italia, lo sento dalle compagnie, dagli operatori, non si può parlare di futuro! Le compagnie sono impossibilitate a programmare; è stato smantellato l’ETI (Ente Teatrale Italiano) e successivamente sono stati chiusi quei teatri gestiti dall’ETI come il Duse a Bologna. Ci hanno privato del diritto al lavoro, come per gli operai. Il prodotto intellettuale non ha meno valore di un prodotto materiale.
Una soluzione?
Non so quale possa essere una soluzione, forse l’intervento dei privati e la fuoriuscita della politica dal mondo culturale. Il privato dovrebbe intervenire con finanziamenti, ma questo non significa che la cultura deve essere gestita dai privati, la cultura è pubblica perché favorisce lo sviluppo del paese.
In America una percentuale delle tasse pagate dalle imprese vengono utilizzate per finanziare la cultura, anche questa potrebbe essere una soluzione: pagare le tasse per chi ha a cuore la cultura!
Passiamo a domande più personali, quale delle opere da te interpretate hai sentito più tua?
Non ce n’è una in particolare, tutte quelle in cui ho lavorato mi hanno lasciato qualcosa, dipendentemente dal periodo e dall’età anagrafica. Dovendo dare dei titoli: il “Berenger” di Ionesco, “Il vicario” di Hoehhuth in cui interpretavo il prete, o il “Filottexit” (rivisitazione del Filottete di Sofocle) in cui sono Filottete, o ancora “AMO” (spettacolo in cui i tre personaggi shakespeariani di Amleto, Macbeth e Otello si incontrano in una grande giostra).
Secondo te, quale testo teatrale non può prescindere dall’essere letto?
Adesso mi mandi in crisi, ce ne sono tanti, non riesco a darti solo un titolo: le tragedie greche, magari in chiave moderna, oppure Shakespeare con l’ “Amleto” o “Re Lear”, o “Il gabbiano” di Cechov. Tra i contemporanei, “Il linguaggio della montagna” di Pinter e “Dannati” di Sarah Kane. Se fossi costretto a scegliere un solo testo, opterei per la Trilogia di Pirandello “Sei personaggi in cerca d’autore”, “Questa sera si recita a soggetto”, “Ciascuno a suo modo”.
Un’ultima domanda, che consiglio ti sentiresti di dare a chi desidera intraprendere la via del teatro?
Per prima cosa, seguire il proprio istinto, la propria indole; poi, andare via dall’Italia perché qui l’aria è soffocante e io mi sento soffocato, per questo ho deciso di sondare il terreno nordeuropeo. Non mi sento bene in Italia e se non sto bene, non riesco a lavorare bene. La mia indole mi suggerisce di andare e io l’assecondo.
In questo momento mi viene in mente la poesia di Pasolini “Alla mia nazione”.
e noi vogliamo proprio terminare questa intervista con i versi pasoliniani, affinché ci aiutino a riflettere sul presente e soprattutto sul futuro che attende il nostro paese.
Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico
ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.
…..”Sprofonda in questo tuo bel mare,
libera il mondo.” P.P.Pasolini
Simona del Gran Mastro